È ormai da qualche anno che nel nostro paese si torna a parlare, con una certa regolarità, di salario minimo. In Svizzera non esiste una legge che fissi un salario minimo per tutti i lavoratori in tutti i cantoni e nel 2014, l’iniziativa per introdurre un salario minimo di 4’000 franchi al mese (22 franchi all’ora) a livello federale era stata respinta nettamente dal 76% dei votanti. A livello cantonale poi è però iniziato a muoversi qualcosa. Il primo cantone a introdurre un salario minimo è stato Neuchâtel, nel 2017, 20 franchi all’ora. Seguito poco dopo dal Giura, sempre 20 franchi. Anche il nostro cantone in seguito all’approvazione dell’iniziativa del 2015 “Salviamo il lavoro in Ticino”, si è posto come obiettivo l’introduzione nella Costituzione cantonale di salari minimi differenziati per mansioni e settori economici. Della questione si sta occupando, a livello cantonale, la Commissione Gestione e Finanze del Gran Consiglio, per cercare di trovare soluzioni che permettano di tutelare la dignità dei lavoratori senza mettere però in crisi i diversi settori economici, sfruttando i margini di manovra possibili.

Il fatto che le cose si siano mosse e si stiano muovendo a livello cantonale, e non a quello federale, non stupisce più di tanto, perché sono sotto gli occhi di tutti le grandi differenze che sussistono tra i vari cantoni della confederazione. Le stesse differenze però vanno attentamente considerate anche a riguardo dei diversi settori professionali. La realtà agricola, legata all’andamento delle stagioni, che spesso impiega manodopera non qualificata e che si basa, per lo più, su piccole aziende a gestione familiare, verrebbe letteralmente messa in ginocchio dall’introduzione di un salario minimo di 20 franchi all’ora. Attualmente, il salario orario, secondo le direttive emanate annualmente dall’USC, è di CHF 15.-. Se poi si considera che il reddito medio annuo di un’azienda agricola è di meno di 50’000 franchi, ben si capisce la nostra posizione. A differenza di altri settori, quello agricolo in Svizzera e in particolare in Ticino, è un settore che si trova appunto in forti difficoltà, poiché è confrontato quotidianamente con la concorrenza dei paesi europei o di altri continenti, che riescono a produrre derrate alimentari a prezzi irrisori. I costi della manodopera in Svizzera invece sono già molto alti e difficilmente sostenibili da gran parte delle aziende agricole, che devono rispettare anche diverse leggi e regolamenti che causano ulteriori costi. L’Unione Contadini Ticinesi è ben cosciente che il problema del crollo dei salari nel nostro cantone è pressante e la salvaguardia del lavoro per i residenti va senza dubbio difesa, così come la dignità delle persone, che deve essere garantita a chi lavora, vive e/o ha una famiglia in Ticino. Il rischio però è che se il settore agricolo non dovesse essere considerato nelle sue particolarità e nella situazione di precarietà in cui si trova, ci si troverà confrontati con una situazione insostenibile, che minaccia di far saltare il banco.

Per questo motivo e per trovare una soluzione ad hoc per il settore primario ticinese, l’UCT ha chiesto un incontro con la Commissione preposta. Un settore che, proprio in virtù delle sue particolarità, non sottostà alla Legge federale sul lavoro e per cui è necessario trovare soluzioni specifiche, che facciano il bene di tutti.

Sem Genini, segretario agricolo UCT

Da Agricoltore Ticinese del 14 giugno 2019