L’Amazzonia brucia. Ma nonostante l’enorme allarmismo mediatico e sui social network degli ultimi giorni, non è la prima volta e probabilmente nemmeno l’ultima. Con queste parole non è mia intenzione sminuire il problema e nemmeno chiudere gli occhi davanti alla deforestazione, causa di enorme perdita di biodiversità e svolta da sempre e ovunque per fare spazio a nuove coltivazioni e allevamenti intensivi. Una situazione che è un dato di fatto ed un vero e proprio problema globale. Vorrei invece aprire un dialogo e pensare a cosa rappresentano le foreste in Ticino, che attualmente ricoprono il 53% dell’intera superficie. Il Ticino, fino a un secolo fa, era diverso. Dove oggi ci sono stretti sentieri fra il fitto bosco, una volta c’erano terrazzamenti coltivati: frutteti, vigneti, campi, orti. Pertanto per poter mangiare quello che in Ticino non coltiviamo più, a fronte anche dell’aumento demografico, ovviamente qualcosina la dobbiamo importare. La settimana scorsa la Svizzera e l’Associazione europea di libero scambio hanno concluso nuovi accordi di libero scambio, ancora più permissivi di quelli dell’UE, con i paesi del Mercosur: Argentina, Paraguay, Uruguay e … Brasile! Proprio la nazione che, sotto la lente mediatica, sta bruciando. Fra questi 4 paesi, il Brasile è quello con maggiore agricoltura. Il suo presidente Bolsonaro incoraggia la deforestazione della foresta pluviale e autorizza l’utilizzo di oltre 200 prodotti fitosanitari proibiti in Svizzera. Anche l’uso di antibiotici per gli animali, lì, non è regolamentato. Quindi, tornando all’accordo di libero scambio, per favorire l’esportazione nei paesi sudamericani di prodotti di altre industrie elvetiche, ci stanno imponendo, ancora una volta, di sacrificare l’agricoltura sostenibile e di prossimità, chiudendo gli occhi davanti all’inquinamento ambientale, alla deforestazione delle foreste pluviali e ai diritti dei lavoratori. Infischiandosene anche dell’art. 104a, capoverso d, sulla sicurezza alimentare che impone “relazioni commerciali transfrontaliere che concorrano allo sviluppo ecologicamente sostenibile dell’agricoltura e della filiera alimentare”.
Sul social network Instagram, ricordo di aver letto dell’incendio dell’Amazzonia il giorno che la cattedrale di Notre-Dame bruciava. Diverse persone indignate scrivevano che mentre la chiesa andava a fuoco raccogliendo donazioni milionarie, bruciava pure il “polmone della terra”. E irritati scrivevano che i media non ne parlavano e che nessuno faceva niente per fermare il rogo. Ora finalmente i media e i politici ne parlano, ma in modo un po’ confuso. Il presidente francese Macron, per esempio, postando una fotografia della foresta in fiamme, sulla sua pagina Instagram l’11 agosto esortava i membri del G7 ha occuparsi attivamente e immediatamente di questa emergenza, che ha definito una crisi internazionale. Alla fine del post, ha pure dato i crediti al fotografo scrivendo il suo nome: Loren McIntyer. Digitando in google appare la sua pagina di wikipedia: giornalista statunitense che ha lavorato intensamente in Sud America, deceduto nel 2003. Gli incendi per deforestare non sono una novità. Qui da noi si conosce il problema e da anni si cerca di contrastarlo, con iniziative che puntano a un’agricoltura a km zero che non vuole spostare i danni in un altro continente.
Sem Genini, segretario agricolo UCT
da Agricoltore Ticinese del 30 agosto 2019