Quanto servono i premi e i riconoscimenti nella vita di tutti i giorni e nel proprio lavoro? Molti di noi, credo, si sono sentiti ripetere sovente che dobbiamo svolgere quello che facciamo senza che ci sia qualcuno lì a tesserci le lodi. È così che si cresce, che si diventa adulti. A questo ho pensato in occasione della Fête des Vignerons a cui ho partecipato dapprima con il Comitato direttivo dell’USC e poi come rappresentante dell’agricoltura durante lo sfortunato sabato dedicato al Ticino di cui tanto si è detto e scritto. La prima sera con l’USC non c’è stato nessun annullamento per pioggia e ho potuto seguire e apprezzare lo spettacolo di Daniele Finzi Pasca, che, tra l’altro, mi è piaciuto moltissimo. Sono stato fortunato! Comprensibili invece i malumori e la delusione dei tanti ticinesi (vi assicuro che ne ho incontrati una marea durante la sfilata mattutina dei Cantoni) che sono andati a Vevey e non hanno potuto assistere allo spettacolo. Molti di loro non sono nemmeno riusciti ad ottenere un rimborso, malgrado fossero impossibilitati a tornare nella data di riserva. Ulteriori lamentele che ho sentito erano legate ai soldi spesi e magari persi, o a quelli che “a loro il Finzi Pasca non piace”, oppure che “una volta tolto lo spettacolo non era poi niente di che, qualche bic- chiere di vino, tanto cibo etnico per le strade e poco più”. Non credo sia così, anche se non dico che sia stato tutto perfetto. La mia impressione è stata che forse si è un po’ perso di vista il senso di questa manifestazione. Da dove nasce e dove trova il suo significato più profondo. Non conoscevo l’origine della Fête des Vignerons, che esiste da più di 200 anni. Mi sono informato prima di parteciparvi e mi hanno colpito le parole di Sabine Caruzzo-Frey, la storica ufficiale della Confrérie des Vignerons, che ho sentito alla radio. Raccontava di come la confraternita, prima di istituire la festa così come ci è poi stata tramandata, girasse per le vigne della regione soprattutto per criticare chi lavorava male. Dispensavano anche complimenti, ma per lo più, almeno all’inizio, si trattava di critiche. Fino a quando l’Abate superiore della confraternita, nel ‘700, non propose di ribaltare il principio e di conferire un riconoscimento ai migliori viticoltori, invece di criticare quelli che lavoravano male. Da quel momento la piazza del mercato di Vevey è diventata il luogo in cui assistere alla proclamazione del miglior viticoltore e riconoscerne così la bravura e la perizia. Quest’anno, per la prima volta, è stata premiata anche una donna. A dimostrazione che il sapere vitivinicolo non si trasmette solo di padre in figlio, ma soprattutto viene riconosciuta una capacità, un merito. Ci aveva visto lungo Finzi Pasca che, non facendo di certo l’unanimità, aveva scelto una bambina, Julie, come figura principale dello show. Lei, tramite il nonno, ha potuto scoprire le tradizioni e il lavoro nella vigna, oltre alla vita dei viticoltori. Non si lavora per i riconoscimenti, certo, però aiutano ed è bello che si dia credito a un sapere come quello dei viticoltori, che come tanti altri lavori del settore primario, è troppo spesso dimenticato. Quest’aspetto storico e culturale della festa, il messaggio di un territorio ricco di potenzialità unito alla presenza di tutti i Cantoni, che hanno conferito un’identità di forte unione al nostro Paese, rispetto al pur bellissimo contorno, sono stati per me i veri valori dell’evento.

Sem Genini, segretario agricolo UCT

da Agricoltore Ticinese del 16 agosto 2019