Il 2019 sarà ricordato come l’anno della presa di coscienza collettiva sui problemi ambientali. Greta Thunberg ha scomodato gli studenti e li ha portati in piazza, costringendo anche gli adulti a discutere intensamente sulla condizione attuale del nostro pianeta. Momenti importanti, insomma, che però rimangono soltanto tali: ben lungi da essere paragonabili all’impegno ecologico dei contadini svizzeri, che giorno dopo giorno lavorano la nostra terra con cura e rispetto, per produrre cibo per chi non lo fa.

Ora è arrivato il 2020 e con sé porta una serie di decisioni politiche che determineranno il futuro della nostra agricoltura. La parola d’ordine è controversia. In attesa ci sono il messaggio definitivo del Governo per la Politica agricola 22+ e l’accordo di libero scambio con il Mercosur, che verranno poi trattati dal Parlamento. L’obiettivo del primo è di puntare sulla sostenibilità e sul benessere animale, senza tralasciare la competitività e la possibilità per le aziende agricole di affermarsi sul mercato. Dopo le critiche dell’USC alla prima versione in consultazione, ci sono dei segnali incoraggianti di cambiamenti condivisi e favorevoli al nostro settore. Speriamo vengano mantenuti.

Dopodiché il coltello dalla parte del manico passerà ai cittadini, che saranno chiamati a votare prima sul referendum contro la revisione della legge sulla caccia e poi sulle iniziative sui prodotti fitosanitari. Il referendum probabilmente ci porterà alle urne in maggio, dopo che i nostri parlamentari avevano finalmente deciso di modificare una legge di 40 anni fa che non era più né attuale, né funzionale.

Per quanto riguarda le due iniziative, mi limiterò a definirle come le “Iniziative per la promozione delle importazioni”. Nonostante i buoni propositi utopici, una loro accettazione metterebbe in ginocchio l’agricoltura svizzera, incluso il Bio. Molti contadini dovranno per esempio decidere se ridurre (di molto) la propria produzione o se rinunciare ai pagamenti diretti. Ma siccome già oggi l’agricoltura svizzera produce una parte ridotta dei consumi della popolazione, persino un bambino si renderebbe conto che la produzione mancante dovrà venire compensata da qualche altra parte. Ecco che entra in gioco un appetibile accordo di libero scambio con il Mercosur, contro il quale soltanto le grandi aziende agricole svizzere saranno in grado di concorrere, in quanto sono le uniche a poter continuare a produrre senza pagamenti diretti.

Infine, come sempre, l’agricoltura svizzera continuerà a dipendere dalle scelte dei consumatori, che se davvero lo volessero, già oggi potrebbero acquistare innumerevoli prodotti sostenibili. Che brutta parola “consumatore”, che per definizione sembrerebbe non essere in grado di fare altro che “consumare”: senza scegliere, senza apprezzare i sapori veri e incapace di cogliere la bellezza di un frutteto o di un campo, senza sapere quale verdura si raccoglie in quale stagione, ignorante dei frutti del proprio suolo, d’accordo a regalare le proprie terre alle multinazionali, le proprie colline ai boschi, i vigneti ai rovi e gli animali d’allevamento alle fauci del lupo. Il nostro compito, tutti insieme, sarà quello di istruire e trasformare i consumatori in conoscitori. Solo così potremo vincere le fondamentali sfide di questo 2020, che vi auguro sia pieno di successi.

Sem Genini, segretario agricolo UCT

da Agricoltore Ticinese del 10 gennaio 2020.